La donna della chiesa

Da lontano, io ti noterei. Avevo cinque anni, ma anche se tredici sono passati, mi ricordo. Mi ricordo dove ti sederesti. Nella seconda panca di chiesa, il tuo corpo sembrerebbe dimezzato. La chiesa sempre ti ha fatto questo a te. Nello spazio di Dio, sembreresti una forma incompleta, dentro e fuori. Due piedi grandi, schiacciati nei tacchi alti, darebbero alla luce ai polpacci coperti. Le calze di nylon non avrebbero mai le smagliature. La tua gonna sempre scenderebbe a livello dei tuoi ginocchi. Con le tue gambe muscolose, i piedi rigonfi, e le spalle larghe, tu sembreresti essere ancora una donna a me.
Quando partirei dalla panca, riceverei la comunione e ti vedrei per alcuni momenti. Il tuo naso aquilino sembrerebbe correre alle tue labbra, rintracciati con una matita scura. Hai capito l’importanza dei particolari. Il tuo mento sporgente era ben rasato. Le tue guance rosate con il trucco mi direbbero, insieme con la struttura della tua testa, che tu non eri una donna naturale. Pero, con la tua tenuta bella e il trucco perfetto, tu sembreresti una donna a me.
Qualche volte, il prete non ti darebbe l’Eucarestia. Hai sorriso ancora, con gli occhi abbacinati. Con un passo cadenzato, con uno sguardo amabile, ritorneresti alla panca. Io ti ammirerei, ma sempre da lontano. Poi, un giorno, non sei stato nella chiesa e ho imparato che il mondo è un luogo crudele. Altri erano pieno della paura, pieno della violenza. Tu non eri così. Tu eri sempre una donna a me.

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